Da vicino

Ginevra e Simone hanno traslocato.
Dalla finestra del mio corridoio, distante poco più di un braccio dal loro appartamento, osservavo il poster in bianco e nero appeso alla parete sul loro divano. La sera, con le persiane aperte a metà, vedevo spuntare le loro teste al centro esatto dell’immagine sul muro. Un tratto di Piazza Fiume, lato Rinascente, con via Salaria trafficata e le macchine in doppia fila. Tutte le volte che andavo in cucina non riuscivo a smettere di osservarlo, i miei occhi erano come metalli e l’immagine appesa una calamita. Nascosta dietro la tenda continuavo a chiedermi come gli fosse venuto in mente di appendere in salotto, non dico in cucina o in un angolo morto e buio del corridoio, un’immagine così brutta e insignificante. Il bianco e nero su carta patinata, non c’è dubbio, risalta. La cornice di pregio arreda. Ma restava la foto di un grande magazzino con due macchine in doppia fila su una strada caotica e senza colori.
Il poster ora è appeso nella mia camera da letto. In salotto no. Proprio non ce l’ho fatta.
Ginevra e Simone si sono conosciuti circa vent’anni fa. Lui faceva il proiezionista in un cinema di quartiere, lei la ragazza immagine in discoteca. È una bella donna. Non molto alta, mora, con labbra grandi e carnose e due tette generose che fanno capolino, sia con quaranta gradi all’ombra che con due gradi sotto zero, da camicette sbottonate e bluse trasparenti. Simone è un timido. Un over40 vestito da teenager. Si nasconde nei cappucci delle felpe, nella barba da hipster e dietro enormi lenti da sole. Hanno lasciato l’appartamento di sera, dopo aver caricato le ultime cose in un furgone a noleggio della Hertz, senza salutare nessuno dei condomini. Tranne me.
Il campanello è suonato intorno alle 20, stavo preparando la cena. Mia figlia si è catapulta alla porta credendo fosse il papà. Ha aperto senza chiedere chi fosse e se li è ritrovati di fronte.
– Mamma corri, è per te.
– Sara quante volte ti ho detto che devi chiedere chi è prima di aprire. Buonasera ragazzi, scusate. Sara è la solita.
– France’ scusaci, è ora di cena. Volevamo solo salutarvi e darti questo.
Simone ha allungato il braccio destro porgendo verso di me un tubo di cartone, chiuso con un tappo bianco. Sara lo ha arraffato dalle sue mani e ha tirato fuori un poster arrotolato.
– Sara ridammelo subito. Vai in camera tua per favore. Scusate ragazzi, mi dispiace. Sara basta. Molla il tubo.
– Mamma uffa, voglio vedere cos’è. Ginevra posso aprirlo io?
– Tesoro deve decidere la mamma, fai la brava su.
– Sara ho detto vai di là! Sei davvero tremenda.
– Uff mamma. Prendo il tuo tablet però.
Sara ha preso il mio tablet dal tavolo in cucina e, lanciandomi il poster, che non sono riuscita ad afferrare al volo, è corsa in camera sua. Ginevra e Simone sono rimasti immobili sul ciglio della porta, senza muovere un passo. Ho raccolto il poster ancora tutto arrotolato dal pavimento. Una sorta di calore ha iniziato a salirmi su per il petto. Il viso si è colorato di rosso e via via, collo, braccia, mani, stomaco, ogni parte viva del mio corpo è diventata bollente. Ho buttato giù l’ultimo goccio di saliva rimasto in gola e rotto un silenzio maestoso come il Monte Fuji nei manga giapponesi.
– Ve ne andate, allora. Non avete detto nulla, neanche il portiere lo sapeva. L’ho intuito vedendovi portare via i mobili. Sapete com’ è … le case sono così vicine e i muri così sottili e l’intero condominio è un piccolo paese e i bambini giocano ovunque e… e…
– France’ il tuo intuito è infallibile…
– …
– Ci dispiace un casino andare via. Il mio lavoro nell’ultimo periodo non va. Ginevra, lo sai, si arrangia con il part-time nella segreteria della palestra. Abbiamo trovato un appartamento qui vicino, il prezzo è abbordabile e c’è un bel giardino per Rufus.
– Mi dispiace ragazzi se ne avessimo parlato avremmo potuto aiutarvi in qualche modo. Nell’ufficio di Giacomo sono sempre sommersi di lavoro, magari una mano gli poteva essere utile.
– France’ va bene così. Non volevamo andare via senza salutare te e Sara. L’abbiamo vista nascere. Ha imparato a camminare correndo al parco dietro a Rufus. Giacomo non c’è, immagino…
– Immagini bene, non c’è mai…
– Mhmm… Allora questo regalo lo apri?
– Scusate sono proprio una cafona. Ma entrate. Cosa fate lì sulla porta?
Il volume del tablet di Sara è altissimo. Un urlante youtuber sta invitando i suoi milioni di follower a partecipare alla challenge: “Mangiamo solo cose azzurre” e ha una voce stridula: “Daje raga pollicione su! Iscrivetevi al canale”.
– Sara abbassa il volume, urlo.
– Cosa mamma? Non ho capito.
– ABBASSA IL VOLUMEEEEE.
– E non urlare mamma. Mi metto le cuffie!
Il mio imbarazzo ha raggiunto anche le unghie dei piedi. Provo a tenere le braccia distese al massimo per srotolare tutto il poster ma sembra non finire mai come un rotolone di carta Regina e la parte di sotto sbatte sul pavimento. Mi sforzo di spalancare per bene le palpebre come al risveglio da un sonnellino pomeridiano e sbamm mi ritrovo immersa in Via Salaria. Vorrei essere al volante di una delle auto in doppia fila per schiantarmi sulla vetrina della Rinascente.
Ginevra e Simone mi guardano. Non riesco a dire nulla.
– Francesca, scusa, noi dobbiamo proprio andare. Vero Simone?
– Ginevra un momento…io ecco io… abitiamo, anzi abitavamo, così vicini e io … io… mi dispiace…
– France’ goditi il poster ora che è tutto tuo. Appendilo però eh! Promesso?
– Ragazzi veramente io… non so…
– Dai Simone andiamo! È tardissimo! Il noleggio del furgone ci costa un botto. Francesca dobbiamo proprio correre.
– Ciao Saretta, dice Ginevra alzando il tono della voce e sporgendo il viso verso l’ingresso.
– Sara non senti che ti stanno salutando?
– Ma no Francesca, lasciala stare
– Saraaaaaaaaaaaaaa!
Sara arriva con le cuffie nelle orecchie e il tablet fra le mani.
– Ciao piccolina.
– Ciao Ginni. Andate via? Pure Rufus va via?
– Si tesoro. Ci rivediamo al parco e giochiamo con Rufus. Ok? Non fare arrabbiare troppo mamma. Francesca il nostro numero ce l’hai. Ci sentiamo presto. Buona notte.
Sara lancia un bacio con la mano e torna in camera sua con le cuffie nelle orecchie. Chiudo la porta e sbottono la camicia. Appoggio le spalle al muro, tiro un lungo respiro e srotolo il poster davanti a me. La base sbatte sul pavimento. Ma quanto cazzo è lungo sto coso! Continuo a osservare via Salaria. Faccio lunghi respiri e guardo. Guardo le due auto in doppia fila, guardo la vetrina della Rinascente. I miei occhi sono come metalli e l’immagine una calamita. Ma quanto è brutta sta strada, ma perché, perché stava appesa nel vostro salotto? Mi sembra di notare qualcosa, o meglio, qualcuno sul marciapiede, tra le due auto in doppia fila.
Mi giro verso la parete e appoggio il poster tenendolo fermo con i palmi delle mani, gli occhi fissi a distanza zero. Sudata come dopo due ore di Zumba, mi ritrovo a osservare un giovane Simone con addosso una felpa. La scena è ripresa da lontano. Simone avrà avuto almeno dieci anni di meno, non ha la barba da hipster, ma il cappuccio della felpa è tirato su, fin sopra la fronte. In un angolino, sul fondo del poster, c’è una frase scritta con un pennarello nero di quelli sottili e indelebili con cui si annotava il titolo sopra ai cd:
“Ho imparato a guardare. Ho saputo trovarti. Tua Ginevra”.
Cazzo. Cazzo. Cazzo! Sono una stronza. E non ci vedo. Mi toccherà pure correre da un oculista.
– Mammaaaaaa!
– Sara ma che c’è? Perché urli, vieni qui da me, no?
– Mammaaaaaaa c’è papà al telefono.
– Cosa?
– Papà. C’è papà al telefono!
Sara correndo dalla sua stanza mi passa il cellulare.
– Ciao Giacomo, scusa avevo la suoneria abbassata
– Amore stasera faccio tardi.
– Sai che novità, amore e… dove vai?
– Eh, come mai tutte queste domande? Il solito, Francesca, dove vuoi che vada. Io lavoro. Io lavoro per tutti. Ci sono i bilanci da chiudere. Sai com’è.
– Mhmm
– Ma che hai stasera?
Continuo a osservare Simone. Leggo: “Ho saputo trovarti.”
Guardo la finestra di fronte. La persiana è aperta, il muro completamente vuoto. Il chiodo è lì, attaccato alla parete, tutt’intorno c’è un rettangolo ingiallito.
– Francesca, ci sei?
– Si Giacomo. Stavo pensando che devo assolutamente rimodernare la camera da letto.