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E così l’AI fa Storytelling?

da | 28/05/2020 | Cose che mi piacciono, Libri

Tempo di lettura: 4 minuti

Foto di Alec Favale via Unsplash

“C’era una volta…
– Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno”.

Le avventure di Pinocchio, Carlo Collodi

L’intelligenza Artificiale sta entrando nelle nostre vite da ogni lato. Otteniamo quotidianamente da Amazon raccomandazioni mirate su libri da leggere ed elettrodomestici da acquistare; interagiamo con bot come Alexa e Siri per attivare le persiane di casa a distanza e ascoltare la nostra playlist preferita; leggiamo articoli scritti da macchine (pensiamo al software Quill ideato dalla start-up Narrative Science); possiamo evitare le code utilizzando app capaci di apprendere.
La domanda che il ricercatore e docente universitario Joseph Sassoon si pone nel suo ultimo libro Storytelling e intelligenza artificiale è: perché l’AI non può occuparsi (anche) di storytelling?
Prima di arrivare a ideare storie nuove – è ragionevole pensare – scrive Sassoon che le macchine dovrebbero intendersi di percorsi narrativi; saper riconoscere se una storia è buona o no e valutarne il potenziale attrattivo.

D’altra parte come sostiene Joseph Campbell nella sua teoria del “Monomito” potremo dire che l’intera umanità è attratta da un’unica storia così sintetizzabile: l’eroe accetta una chiamata all’avventura. Esce fuori dal “Mondo Ordinario” (richiamando Vogler), affronta delle “prove”, trova degli ostacoli e dei tesori lungo il suo cammino e, infine, fa il suo ritorno.

Video di Matthew Winkler via TED Ed

L’esistenza di una struttura narrativa profonda ricorrente nelle storie raccontate dagli uomini agevola, senza dubbio, le prospettive d’intervento dell’intelligenza artificiale. Certo è lecito nutrire dei dubbi in merito alla possibilità delle macchine di creare storie dotate di senso e di appeal. Non a caso lo storytelling è considerato da tempi immemorabili una pratica esclusivamente umana.

Se guardiamo, tuttavia, a prodotti come Watson il super sistema di IBM in grado di capire, ragionare e interagire con gli umani ci rendiamo conto di quanto alcuni strumenti di AI possono effettivamente essere di supporto alla creatività. Watson è capace di analizzare un intero film a livello di visual e testo nonché di fare sentiment ed emoticon analitycs di tutti i personaggi e dare indicazioni estremamente precise su come realizzare un trailer ottimale, curando tutte le componenti di maggior impatto emozionale.

Fight-or-Flight

Mettere la testa nella sabbia e non volere vedere l’avanzata delle macchine nel mondo dello storytelling impedisce agli storyteller di sfruttare le opportunità che l’AI può offrire al loro lavoro.
Tra questi vantaggi Sassoon segnala:

  • tradurre in velocità e con precisione dati quantitativi in forma discorsiva;
  • contribuire a identificare e combattere il fenomeno delle fake news;
  • identificare gli archi emozionali prevalenti e capire in profondità perché alcuni funzionano più di altri;
  • decrittare le enormi quantità di Big Data sul comportamento di consumo al fine di ispirare la creatività pubblicitaria;
  • rintracciare soluzioni narrative originali e poco note.

Non a caso nei team di intelligenza artificiale sempre più spesso sono presenti figure professionali diverse, anche di tipo umanistico, in grado di costruire storie e percorsi di addestramento da rivolgere ai computer.

“Se ci pensiamo le macchine non stanno facendo altro che diventare dei registratori evoluti dei nostri racconti. Addestrare un algoritmo di tipo supervisionato significa mostrargli fatti, documenti, immagini utili ad apprendere. Quando addestriamo un algoritmo per il riconoscimento d’immagini, ad esempio riconoscere i famosi “gattini” di internet, non facciamo altro che raccogliere migliaia di foto di gattini e sottometterle all’algoritmo che, foto dopo foto, registra e mette in relazione tutte le caratteristiche delle immagini che esamina. Passo dopo passo l’algoritmo avrà raggiunto una tale accuratezza da sembrarci intelligente. In realtà sarà totalmente inconsapevole di ciò che ha imparato”.

Pietro Leo – Information Technology Solution Maker e IT Architect Thought Leader

Macchine narranti

Di fronte a questo cambiamento epocale che conduce, progressivamente, a condividere la capacità di raccontare storie con qualcun altro (o qualcos’altro) possiamo reagire ponendoci in posizione di chiusura o di proficuo e consapevole entusiasmo.

Conviene, in altre parole, accogliere l’inevitabile avanzata delle macchine sul terreno dello storytelling sfruttando quegli algoritmi e strumenti di AI che arricchiscono e supportano il mestiere dei narratori.

Nel farlo teniamo ben presente ciò che, ricorda Sassoon, ancora per molto tempo, distinguerà le macchine narranti dagli storyteller in carne e ossa:

  • l’esperienza: solo gli esseri umani hanno una conoscenza diretta del mondo e delle infinite situazioni, circostanze, momenti che caratterizzano la vita di ognuno di noi. Le macchine possono imparare a memoria e immagazzinare centinaia di migliaia di dati e documenti ma non hanno e non vivono rapporti interpersonali.
  • l’etica: nella prospettiva delle macchine il bene e il male sono indifferenti. La dimensione etica non fa parte della loro dimensione valutativa né delle loro capacità. È un limite molto potente. I racconti ci appassionano se riflettono le nostre esperienze e raccontano trame vissute in cui potersi identificare.

Il contesto è ciò che usiamo per dare senso alle cose. Da questo punto di vista lo storytelling (in carne e ossa) ha ancora tantissimo da insegnare all’Intelligenza Artificiale.