Il PauraVirus
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Riflessioni a voce alta senza pretesa di ascolto.
“Paura è il nome che diamo alla nostra incertezza: alla nostra ignoranza della minaccia, o di ciò che c’è da fare per arrestarne il cammino o, se questo non è in nostro potere, almeno per affrontarla. La paura esiste dappertutto, può essere un uomo con una kefiah, una strada sconosciuta, una piccola recessione in borsa, o un virus isolato in Indonesia. Il mondo sembra una grande incubatrice di paure, che paralizzano e provocano visioni distorte della realtà“.
Le paure provengono virtualmente da qualsiasi luogo: lavori instabili, competenze inaffidabili, le poste nel gioco della vita che cambiano costantemente, la fragilità delle relazioni. Tutte queste paure si alimentano l’un l’altra e si rinforzano, combinandosi in uno stato mentale e di sensibilità che possiamo descrivere solo come “insicurezza ambientale”. Ci sentiamo insicuri, minacciati, senza conoscere l’origine delle nostre ansie, insicuri su cosa fare. Le paure sono, per così dire, “fluttuanti”, “dis-ancorate”.
In questi giorni con la diffusione del Covid -19 siamo stati catapultati in un “framework for developing identities and engaging social life” (D.Altheide) in cui ansia e timore sono diventati il modo con cui guardiamo al mondo e, soprattutto, il modo con cui i media ce lo stanno mostrando. Molte delle sicurezze che ritenevamo acquisite non ci sono più. Non è più “sicuro” prendere un autobus, salire su un treno, andare in ufficio, sorridere al vicino, mandare i nostri figli a scuola, entrare in un cinema, trovare merce in un supermercato. La nostra quotidianità appare stravolta, preda di una paura che nessuno sembra in grado di fronteggiare, nemmeno chi, per mestiere e ruolo, dovrebbe avere la capacità di farlo.
Ciò che mi ha colpito in maniera profondamente negativa è il modo con cui i media* hanno intercettato, a tratti sfruttato, la necessità di instillare e diffondere la paura, o meglio il panico, nelle persone. La paura fa notizia. Quindi l’onda va cavalcata. The show must go on. Che importa l’effetto che farà. La gente vuole sapere.
Abbiamo bisogno e diritto di essere informati, certo. Terrorizzati, no. Non credo. Abbiamo bisogno di capire di cosa aver paura così da valorizzare l’aspetto salvifico della paura stessa. Quell’aspetto sano che porta a contare fino a 10 prima di toccare una piastra bollente, saltare un ostacolo, lanciarsi in una nuova avventura, valutare le proprie possibilità.
Siamo di fronte a un’emergenza. Inutile negarlo.Un’emergenza che investe tutti i bisogni dell’individuo (sicurezza, appartenenza, stima, auto realizzazione). Senza scomodare la tutela dell’intera collettività (non è mestiere per tutti) la paura che stiamo vivendo in questi giorni dovrebbe insegnarci quali sono i nostri limiti, i nostri doveri, le nostre responsabilità. E instillare in noi tutti una buona dose di spirito critico per reagire a fake news, bombardamenti di notizie, virologi in lite, politici che si fanno i dispetti.
Ecco perchè da oggi io mi fermo. Scelgo di guardarla dritta in faccia la paura. Scelgo di dire senza paura, che io ho paura. Morire fa schifo. Soffrire ancora peggio. Vedere soffrire e perdere i tuoi cari, peggio e ancora peggio.
Non chiedetemi però di lasciarmi travolgere, nè tanto meno di seguire gli aggiornamenti ora per ora e di assistere al live counting del numero dei contagi.
E a chi prova a rimproverami per questo rispondo che non sono fatalista, nè superficiale, ma paurosamente coraggiosa.