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Morire non è un gioco da bambini

Tempo di lettura: 6 minuti

Pubblicato (in versione estesa con il titolo “A domani”) da MDS editore nell’antologia In Virus Veritas

”Non commettiamo il peccato di voltare le spalle al tempo
Chuck Noland, Cast Away (2000)

1.

Mi chiamo Santos. Per qualcuno sono super, Super Santos. Preferisco Santos, senza Super. Fino a qualche giorno fa, quindici forse venti, era ancora inverno e correvo a perdifiato in un campo di calcio di erba sintetica che mi faceva il solletico a ogni rotolata. Mattia si arrabbiava con me.
– Vai sempre dove vuoi tu e mai dove voglio io! Se tiro a destra perché vai a sinistra?
Correvamo ore e ore senza stancarci mai. Al momento di rientrare a casa, Mattia mi prendeva per le orecchie, mi stampava un bacio in piena fronte e mi riponeva in una sacca a righe gialloblù che profumava di bucato.
Ora vivo con Massimo. Non usciamo mai. Trascorro le giornate seduto su una scrivania piccola, rosa, stracolma di pennarelli, Barbie e peluche con grandissimi occhi colorati. Non viene mai a trovarci nessuno.
Eppure, fuori è primavera e le giornate hanno un’ora di luce in più.

2.

In casa di Massimo è tutto in perfetto ordine. Massimo lava il pavimento tutti i giorni dopo avere passato l’aspirapolvere in ogni angolo. Prima di rifare il letto mette le coperte sul davanzale della finestra e le sbatte con un battipanni di vimini. Cambia la biancheria due volte alla settimana, la lava in lavatrice a sessanta gradi e poi va a stenderla in terrazzo. Lo guardo, immobile, passare avanti e indietro con il secchio d’acqua, lo straccio per i pavimenti, la bacinella con gli asciugamani e le lenzuola bagnate.

Ogni cosa intorno a noi è sospesa. I vestiti, i giocattoli, i libri, la spesa nel frigorifero ci osservano pronti a scattare come un pallone l’istante prima di un calcio di rigore. Il calciatore sistema la palla sul dischetto al centro dei due pali. Il portiere lo guarda, prova a confonderlo. Il pubblico è in silenzio, il vento ha paura di soffiare dalla parte sbagliata. Il calciatore tira, potente, di piatto. La palla gira, il portiere prova ad afferrarla. La tocca ma non ce la fa. Il pubblico si alza, urla, si abbraccia. GOAL! GOAL! L’arbitro fischia. Uno a zero. La strada si fa in salita per la squadra ospite.

3.

Quando mi emoziono salto all’impazzata e comincio a balbettare.

BBBUM, BBBOING, BBBUM, BBBOING

Mattia diceva che rimbalzo a cazzo. Meglio così. Rimbbbalzare è meno imbbbbarazzante che balbbbbbettare. Nella mia famiglia balbbbettiamo tutti. È un fattore genetico ereditario stampato sul nostro PVC. I miei fratelli e io ci somigliamo tutti tantissimo. Siamo simili, però, non identici. Nella nostra razza non esistono i gemelli. Per distinguerci basta osservare con attenzione la striatura nera che attraversa la nostra fronte arancione. Guardando con attenzione si intravede in ciascuno di noi un’inimitabile, leggerissima sbavatura verso l’alto o il basso, un tratto impreciso, un vuoto di colore, un puntino sull’incisione poco sopra il bassorilievo. Un difetto di fabbrica? Un errore nel processo di stampaggio? Chiamateli pure così i nostri segni particolari. Sono abituato. Non mi offendo più. Resto incredibilmente irresistibile. Non è vanità e non è tutto merito del mio prezzo più che accessibile. È un fatto.

Foto via Wikimedia  |  Fattore PVC

Quindici giorni fa sono andato a scuola con Mattia. Il suo diario dei Pokèmon alla data mercoledì 4 marzo 2020 ricordava: “Qual è la tua copertina di Linus? L’oggetto a te più caro? Portalo in classe e ne parleremo insieme”.

4.

– Possiamo giocare anche domani? Possiamo maestra? Possiamo?

– Si va bene Mattia, ma non dovete sudare, non dovete fare troppa confusione e potete giocare solo per dieci minuti durante la ricreazione. Chiaro?

Mattia grondante e felice, spostando il suo lunghissimo ciuffo biondo dalla fronte, dopo un soddisfatto evvai, mi ha preso per le orecchie, stampato un bacio in piena fronte e scritto le sue iniziali, *M.M IV B*, sul mio dorso con un pennarello nero.

Ho un tatuaggio. Figo. Ho un tatuaggio.

Non mi ha riposto nella sacchetta gialloblù. Mi ha lasciato in cortile accanto a un vecchio pallone di cuoio marrone. Sono rimasto qui ad aspettare, tranquillo.

Mattia non è tornato più.

Mi sono lasciato trascinare via da un vento fortissimo e freddo che ha iniziato a soffiare un paio di giorni fa e mi sono ritrovato fuori al cortile di un palazzo. È in una zona periferica. I palazzi sono altissimi, senza balcone, tutti in cemento. Non c’è verde da nessuna parte, neanche un minuscolo filo d’erba. Non passa una macchina e gli autobus sono vuoti. Mi sono nascosto dietro a un bidone. Massimo è spuntato all’improvviso con la faccia coperta da una specie di tovagliolo azzurro legato intorno alle orecchie e gli occhiali appannati. Mi ha raccolto da terra con degli strani guanti bianchi e infilato in una borsa della spesa in tela che profumava di banane.

Ecco è la fine. Ciao Mondo, addio.

Ho chiuso gli occhi e mi sono lasciato andare all’inevitabile: un bagagliaio, un garage, un bidone della spazzatura, la discarica.
Un odore acre e pungente mi ha riportato alla realtà mentre una terribile pioggia rosa scoloriva la mia invidiabile striatura neroarancio, cancellando per sempre ogni mio singolo tratto distintivo. Anche il mio tatuaggio. *M.M. IV B*.

Mattia non mi riconoscerà più.

Terminata la doccia puzzolente Massimo si è sfilato i guanti bianchi, si è lavato le mani e ha indossato un altro paio di guanti bianchi. Ha pulito con una spugnetta arancione tutte le superfici del bagno e mi ha buttato sotto un getto d’acqua bollente, strofinandomi senza pietà con un liquido bianco ancor più puzzolente. Infine mi ha lasciato ondeggiare nella vasca.

Ondeggiare, lo ammetto, è stato divertente ma non posso, non devo divagare. È un mio terribile difetto.

Dopo qualche minuto, mi ha tirato su dalla vasca, asciugato con della carta assorbente e stretto fortissimo vicino al suo petto. Mi sono sentito Wilson nel film Cast Away mentre Chuck, disperato, lo cerca nell’oceano:

Wilson! Scusami! Scusami Wilson! Wilson scusami! Scusami! Wilson! Non ce la faccio! Wilson! Wilsooon!

Se lo avesse ritrovato, ne sono certo, Chuck avrebbe stretto Wilson come Massimo ha fatto con me afferrandomi dalla vasca da bagno. Matteo adora quel film, l’avremo visto insieme, seduti sul divano, centinaia di volte…

Qualcosa di liquido ha di nuovo bagnato la mia fronte.

Eh no! Un’altra doccia, no! Ti prego.

Vorrei scappare, divincolarmi, lanciarmi a terra ma non posso, non ci riesco l’abbraccio è troppo stretto. Guardo Massimo. Non ha più lo strano fazzoletto azzurro e gli occhiali non sono appannati. Ha tolto i guanti bianchi appiccicosi, sento le sue mani. Sono ruvide, calde e piene di calli. Indossa una camicia bianca perfettamente inamidata, ha due occhiaie profonde e… piange.
Piange e mi stringe, mi stringe e piange.
– Martina, Martina, corri da nonno, corri!
Comincia a urlare.
In casa siamo solo noi due.

Ma a chi grida questo? Mi sento sempre più il mio collega Wilson nel film Cast Away ma non siamo smarriti su un’isola deserta.

– Martina, Martina, corri da nonno, corri!
Comincia a lanciarmi, a colpirmi.
– Tacco, punta, goal!

Ne ha di classe il nonno.

Sento altre goccioline bagnare la mia fronte. Lacrime, sudore, sudore, lacrime.
Corriamo, corriamo, corriamo dal corridoio alla cucina, dalla cucina al salotto, dal salotto alla camera da letto.
Non c’è verde intorno, neanche un filo d’erba. Non sento alcun solletico. Siamo illuminati da un neon vecchio modello. Giriamo e giriamo.
Salotto, cucina, camera da letto.Camera da letto, cucina, salotto.
Salotto, cucina, camera da letto.Camera da letto, cucina, salotto.
E lui urla sempre più forte, sempre più forte:
– Martina, Martina, corri da nonno, corri! Martina, Martina, corri da nonno, corri!
Salotto, cucina, camera da letto. Camera da letto, cucina, salotto.
Salotto, cucina, camera da letto. Camera da letto, cucina, salotto.
– Martina, corri da nonno, corri!
Salotto, cucina, camera da letto. Camera da letto, cucina, salotto.
Salotto, cucina, camera da letto. Camera da letto, cucina, salotto.
In lontananza il suono di una sirena.
Martina, corri da nonno, corri.

Tom Hanks in Cast Away diretto da Robert Zemeckis, 2000